Il cimitero di Staglieno a Genova

Pubblicato: 18/05/2015 12:05:45
Categorie: Cimiteri

Ancor prima di nascere, Staglieno fu all’insegna della morte: l’epidemia di colera del 1835 si portò via il progettista originario, l’architetto Carlo Barabino. Fu perciò solo nel 1851 (è stato un allievo di Barabino, Giovan Battista Resasco, a completare l’opera mettendoci parecchio del suo) che arrivò la prima salma da inumare, dopo la benedizione di una cappella mortuaria ancora provvisoria. Ma quasi immediatamente il nome di questo cimitero monumentale è diventato noto a tutti gli italiani, che sin dalle elementari associano al suo nome a quello di Giuseppe Mazzini. Il sacrario di uno dei padri dell’unità d’Italia è il più popolare motivo di attrazione di questo sito, ma chi viene qui per rendere omaggio ai grandi che vi sono sepolti o per ammirare l’inesauribile repertorio di stili delle sue cappelle e tombe, il tutto all’interno di un impianto neoclassico, scopre di essere arrivato in un luogo dall’immenso fascino naturalistico, sotto molti aspetti simile ai grandi cimiteri del nord d’Europa.

Alice Munro ha ambientato qui a ragion veduta l’inizio di un suo racconto, ma troviamo pagine su Staglieno anche in Nietzsche, in Maupassant, in Hemingway, per il quale Staglieno era “una delle meraviglie del mondo”. Ne parla anche Mark Twain inInnocents Abroad: “Per noi, queste lunghissime file di incantevoli forme sono cento volte più belle della statuaria danneggiata e sudicia salvata dal naufragio dell’arte antica ed esposta nelle gallerie di Parigi per l’adorazione del mondo”.

In Italia soltanto il Monumentale di Milano può rivaleggiare con il repertorio artistico squadernato su questa collina, tra questi boschi e accanto a questi torrenti, in uno scenario incomparabile (se poi vi spostate nel settore protestante l’effetto è ancor più notevole). Appena entrati nel parco di 300.000 metri quadrati ci accoglie una possente statua raffigurante la Fede, opera di Santo Varni, e subito dietro, sul fianco della collina, si staglia uno scalone largo oltre una ventina di metri che sale verso il Pantheon, ufficialmente Cappella dei Suffragi, al quale si accede da un colonnato grecizzante (tra i suoi ospiti c’è il poeta Edoardo Sanguinetti). Lungo tutto il versante della collina si succedono i sepolcri in una rassegna degli stili in voga prevalentemente tra seconda metà dell’Ottocento e inizio del Novecento, dal Realismo al Déco. Nella tredicesima nicchia del “porticato superiore di ponente” troverete una statua raffigurante un angelo che è diventata una delle opere più imitate e replicate della storia dell’arte, opera diGiulio Monteverde.

Non è un caso che una leggenda della musica inglese, il gruppo dei Joy Division, abbia scelto le statue di Staglieno per le copertine di due dischi. Oltre a Giuseppe Mazzini, onorato con un mausoleo scavato nella roccia della collina, nel cui cortile c’è anche la tomba della madre, Maria Drago, Staglieno ospita un altro protagonista del Risorgimento, Nino Bixio, e un padre della patria odierna come Ferruccio Parri, ma troviamo anche, accanto alle dinastie locali al gran completo, la Genova di oggi, quella dell’attore Gilberto Govi, che riposa accanto alla sua Rina, delle scrittrici Anna Maria Ortese e Fernanda Pivano, e (nel campo 22) di Fabrizio De André, colui che ha musicato il grande poema dei morti, l’Antologia di Spoon River. E non dimentichiamo la tomba della moglie di Oscar Wilde, Mary Constance, morta da queste parti perché, paralizzata a causa di un incidente, era in cura a Nervi.

Infine merita una sosta la statua più ammirata: non era una persona famosa, non era di famiglia abbiente, era solo un’ambulante Caterina Campodonicoche risparmiò tutta la vita per farsi immortalare dallo scultore più prestigioso della città, Lorenzo Orengo, tenendo in mano la sua mercanzia, collane di noccioline e ciambelle, immagine del risparmio, immagine di Genova.

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