Pubblicato:
15/05/2015 11:20:51
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Curiosità
(dall’Internazionale del 21 novembre 2014)
Erano le tre del pomeriggio e Ricardo Péculo stava giocando con le nipotine. Sua figlia Karina era uscita per alcune commissioni e gli aveva affidato le bambine. Come sempre giocavano, ridevano e correvano. Ma quel 22 marzo 2013, mentre rincorreva le nipoti, Ricardo Péculo è scivolato. Le conseguenze della caduta sono state lievi: un dolore al braccio e lo spavento delle bambine. Lui ancora non lo sapeva, ma il giorno dopo lo avrebbero ricoverato. “Sto benissimo”, ha protestato. “Mi fa solo un po’ male il braccio”. “Lei da qui non si muove”, ha risposto il medico . Lo hanno trattenuto per cinque giorni. C’era un motivo. “Mi è venuta una sincope”, ricorda. “Il mio cuore si è fermato e poi è ripartito. Il problema è che è rimasto fermo per quattro minuti. Avrei potuto restare emiplegico, ma grazie a Dio non è successo. Avevo la bara pronta, ma hanno dovuto richiuderla”. Lo specialista di riti funebri più conosciuto d’Argentina scoppia a ridere, poi si spiega. Tempo prima aveva commissionato la sua bara e impartito le istruzioni per la sua veglia. Al nipote Daniel Carunchio, vicedirettore dell’obitorio della facoltà di medicina dell’università di Buenos Aires, aveva spiegato come doveva avvenire il trasporto della bara, in quale carro avrebbero dovuto trasportarlo e come doveva svolgersi il servizio funebre. “È pazzo”, mi confesserà in seguito Daniel. “Ha fatto mettere sulla bara una sua foto vestito da gaucho e ora vuole che lo trasportiamo nel carro del centro folkloristico El Lazo, lo stesso che abbiamo usato per suo fratello Alfredo. È un carro molto antico, trainato da buoi”. Anche se ci sono decisioni che non spettano al morto ma alla famiglia, Ricardo sa già cosa accadrà alla sua veglia funebre. Dopo la veglia sarà celebrata una messa, e quando sarà finita lo trasporteranno al cimitero di Boulogne. Sarà sua moglie a decidere se metterlo in un loculo o nella cappella accanto al fratello. “In ogni caso”, dice Péculo, “quando smetterà di andare al cimitero perché sarà troppo vecchia o perché avrà trovato un altro fidanzato, il patto è che dovrà cremarmi e mettermi accanto ai miei genitori”. “E se sua moglie dovesse morire prima di lei?”, gli chiedo. “Non cerchi di scombinarmi i piani”. È un pomeriggio di aprile. Péculo – barba bianca, maglione color sabbia, fazzoletto al collo – è seduto nel bar di un hotel nel centro di Buenos Aires. Si presenta (“tanatologo, specialista in riti funebri, docente”), e nella sua voce cavernosa sento tracce di caffè, tabacco e notte. Siamo qui per parlare della morte. “Della morte bisogna parlare”, dice. “La gente non ne parla, non si organizza, non pianifica. Poi viene da te e ti dice quello che gli passa per la testa. Magari dice che vuole essere bruciata e gettata ai porci”. Quando suo fratello maggiore Alfredo ha fondato le pompe funebri Parana a Villa Adelina, Ricardo era adolescente e s’interessò al mestiere. Gli piaceva l’avventura, uscire alle due o alle tre di notte. La madre lo ammoniva: “Se non fai i compiti da qui non esci”. Péculo faceva i compiti in fretta e usciva. Con il tempo il gioco si è trasformato nel lavoro di una vita. “Non ho mai fatto altro. E ne sono orgoglioso”. All’inizio si limitava ad accompagnare i dipendenti e guardare. Poi ha fatto un po’ tutto: da autista del carro funebre a responsabile delle cerimonie. È stato nell’amministrazione, nelle pubbliche relazioni, nelle vendite. Imparava lavorando. “Come i piloti accumulano ore di volo, io accumulavo ore di veglie funebri. Andavo alle veglie, parlavo con la gente, cercavo di capire di cosa avevano bisogno. All’epoca si usavano ancora i gettoni e io mi accorsi che la gente ne aveva bisogno per chiamare alle tre del mattino. Così abbiamo incluso i gettoni nel servizio. Poi ho visto che mancavano le sigarette, e cosi abbiamo preparato una borsa con sigarette e aspirine, perché ogni volta qualcuno diceva ‘mi fa male la testa, chi ha un’aspirina?’, e nessuno l’aveva portata. Noi eravamo li per quello, per andare incontro alle loro necessità”. Grazie all’attenzione a questi particolari e all’inclusione di trattamenti di tanatoprassi e tanatoestetica, le pompe funebri Parana sono diventate le più note in tutto il paese, con 1.200 funerali al mese e 35 sale per la veglia nel distretto di Buenos Aires.
“Quando veniva un cliente io mi occupavo di scoprire la religione del morto e a quale santo fosse devoto. Scoprivo a chi rivolgeva le sue preghiere, cosa gli piaceva. Volevo dare spazio nel rito funebre alla sua professione o a un suo hobby. L’elaborazione del lutto comincia dalla veglia. C’è chi dice ‘non fatemi la veglia, buttatemi nella spazzatura, non voglio che piangano per me’. Non è così, non è una questione così semplice”. Secondo Péculo in quel momento la fa- miglia del defunto è in una fase di negazione. Quando chiede se vogliono fare qualcosa di particolare rispondono sempre di no, ma lui cerca di convincerli con discrezione. Gli propone di mettere in risalto ciò che il defunto faceva quando era in vita. Se per esempio era una maestra, propone di far passare il corteo davanti alla scuola dove insegnava. Per Péculo un funerale non annuncia una morte, ma omaggia una vita che è stata vissuta.
Chiudi la bocca.
Una cerimonia di questo tipo, naturalmente, non si può improvvisare. Péculo è convinto che il funerale vada organizzato con grande anticipo: “Mica puoi organizzare la festa di compleanno il giorno in cui compi gli anni”. Però quando si pensa a una festa di compleanno c’è anche il piacere dell’attesa. “Ma chi è contento all’idea di morire?”, gli chiedo. “Ognuno di noi muore due volte”, risponde. “La prima quando si ferma il cuore, la seconda quando si dimenticano di noi. Quella è la morte definitiva”. Anche se le pompe funebri Parana sono state vendute alla compagnia statunitense Stewart Enterprises nel 1998 e in seguito a un’altra proprietà, ogni volta che si fa il nome Péculo qualcuno ricorda. “Ah, Péculo, quello delle pompe funebri Paranà”. Il tanatologo matricola 373. Il direttore dell’Istituto argentino di tanatologia. Il funeral planner delle celebrità e di tutti gli altri. Ricardo Péculo ha cominciato a insegnare dopo la vendita delle pompe funebri. A introdurlo nell’ambiente è stato suo nipote Daniel, che all’epoca dava già lezioni di tanatoprassi. Un giorno gli ha detto: “Oggi ho un corso a Chivilcoy. Vuoi venire con me? Vogliono sentirti parlare”. Lui ha accettato e da allora non ha più smesso. Ogni settimana dà consigli alle imprese funebri, alle cooperative e ai cimiteri su come gestire i parenti, come personalizzare l’omaggio o come chiudere la bocca del defunto. Un mese dopo il nostro primo incontro, Péculo tiene un corso presso l’Asociación interamericana de ceremonial, alle dieci del mattino di un sabato grigio e freddo. È vestito in maniera impeccabile – coltello da gaucho alla cintura e coccarda sul risvolto – e cura tutti i dettagli: computer, presentazione in Powerpoint, puntatore. Il titolo del corso è Cerimoniale funebre e gestione funeraria. “Perché è venuta qui?”, chiede a Iulia, un’impiegata del Banco de la Nación Argentina seduta tra il pubblico. Attraverso le presentazioni comincia la lezione. Iulia spiega che è venuta per curiosità. Péculo le chiede se ha avuto qualche contatto diretto con la morte. “Si, quando è morto uno dei figli di mio marito”, risponde. “La famiglia era devastata e io ero l’unica persona lucida. Vorrei aiutare la gente che attraversa i questi momenti”. Ricardo si siede e spiega che questo è un sentimento essenziale. “Le imprese funebri pensano che il loro lavoro sia solo seppellire il morto. Non capiscono che in realtà devono gestire la famiglia. L’importante non è saper usare la pala, ma la psicologia”. Poi si rivolge a Martin, 37 anni, impiegato. A otto anni Martin ha cominciato ad andare al cimitero con il nonno e ha scoperto quella che definisce “una passione ereditaria”. “Mio nonno si occupava di tutti i funerali. Ha seppellito l’intera famiglia, e perfino i suoi stessi dipendenti”. “Non sarà che tuo nonno porta sfortuna?”, interviene Péculo. Il pubblico scoppia a ridere. Solo il 30 per cento di chi frequenta i suoi corsi lavora nelle pompe funebri. Il resto si iscrive per motivi personali. Succedeva anche quando studiava Gestione di imprese funebri all’università. Ma ora non è più importante. L’importante è spiegare come si chiude la bocca a un morto. “La chiusura‘ della bocca è fondamentale. Le imprese funebri continuano a usare la colla. Che barbari! Quando s’incolla la bocca, la mascella continua a spingere verso il basso. Tutti i morti sono cosi”, Ricardo storce la bocca verso il basso e osserva in silenzio la classe, “è come se dicessero ‘che m’importa se sono morto’ oppure ‘che m’importa se siete venuti alla mia veglia”. Altre risate. Grazie alle sue doti di intrattenitore, Péculo ha condotto De aqui a la eternidad, un programma tv sulle esequie in cui affrontava aspetti fondamentali di quello che considera l’evento più importante della nostra vita: la veglia funebre. Ha un umorismo sottile, tenebroso, affilato, soprattutto quando parla di ciò che la maggioranza delle persone preferisce non affrontare. “La bocca si sutura, capito? Suturare la bocca significa alzare la mascella e lasciare le labbra libere. Prendo le labbra e poi le lascio andare, così la pelle riproduce l’espressione naturale di ognuno”. Le veglie non possono essere tutte uguali. Péculo insiste molto sulla personalizzazione del rito funebre. “Il nostro lavoro è onorare, non seppellire”, continua. “A quello ci pensa il cimitero. Le persone non sanno che ci sono tecniche per la preparazione del corpo. Dicono ‘perché lo dovete preparare, se è morto?”’. Secondo Péculo la corretta preparazione di un corpo per mostrarlo come era in vita contribuisce all’elaborazione del lutto. “Salutare una madre che perde liquidi ed emana un cattivo odore non è come separarsi da una madre com’era realmente. Le persone vanno alle veglie e se il corpo non è preparato bene, con i capelli in ordine, il trucco, le unghie pulite e smaltate, dicono ‘ah, com’è trasandata’.
L’ultimo caballero
Nella sala da pranzo della sua casa al settimo piano di un edificio di Martinez, vicino a Buenos Aires, Ricardo ha tutto ciò che ama, diviso in settori: nel settore tradizionalista ci sono coltelli, una sella, frustini e cappelli. Accanto alla sella c’è un’urna decorata con una rosa d’argento che contiene le ceneri dei suoi genitori. Poi c’è il settore di famiglia: foto dei genitori e del loro matrimonio, Ricardo insieme a un cognato ormai scomparso, i suoceri che ballano al quindicesimo compleanno di sua moglie. Poco lontano si trovano il computer, i libri, i cd e lo stereo. Infine c’è Gabriela Verón, la sua terza moglie. Tutto ciò che ama è in questa stanza, dice. Il sole illumina la tavola imbandita: tovaglia bianca, due piatti con pan dulce, una teiera, il mate. Ricardo indossa pantaloni da gaucho, fazzoletto al collo e coltello alla cintura. Gabriela sorseggia il mate. Tra poco andranno insieme a El Lazo per festeggiare l’anniversario della rivoluzione di maggio. Ricardo Péculo è nato il 29 settembre del 1950 all’ospedale Anchorena di Buenos Aires. Quando aveva tre mesi la sua famiglia si trasferì a Villa Adelina, a nord della capitale. La loro casa di calle Lima era stata espropriata per la costruzione dell’avenida 9 de julio e il governo gli aveva concesso in cambio una piccola casa in periferia. Il padre continuò a lavorare alla portineria della Casa Rosada, la presidenza della repubblica. La vita di Ricardo trascorreva tra la scuola, le onoranze funebri, le donne e la politica. È proprio grazie alla politica che ha conosciuto Gabriela Verón. Lei militava nel Partido justicialista, come Alfredo Péculo. Ricardo, che aveva Yabitudine di accompagnare il fratello alle riunioni, si innamorò subito di lei, ricambiato, nonostante i 21 anni di differenza. Un giorno Ricardo chiamò Gabriela e le disse: “Tra un po’ ti passo a prendere”. Non si sono più separati. Si sono sposati il 29 settembre 2008, in occasione del cinquantottesimo compleanno di Ricardo. In sala da pranzo, accanto al computer, c’è una foto di quel giorno. Gabriela ha imposto una regola inviolabile: “Quando siamo a tavola non voglio telefoni”. Perché lui si sveglia, prepara la colazione e la prima cosa che fa è prendere il telefono. “Se muore qualcuno non importa se è sabato, domenica o se sono le due del mattino. Io dico sempre ‘chiamatemi, non ci sono problemi’. Quella che si lamenta è mia moglie”, spiega Péculo. Se gli telefonano all’alba, risponde e poi torna a dormire. Gabriela invece non riesce a riaddormentarsi. Lo ascolta parlare nel sonno e a volte lo registra con il piccolo registratore che usa all’università. Dicono che Péculo sia un co nquistatore, un caballero elegante, magro e curato nel vestire, uno di quelli che ti accomodano la sedia, come non ne restano molti. Gabriela conferma e aggiunge che è anche un egocentrico che ha sempre bisogno dell’approvazione degli altri. Come quando ha cominciato con le lezioni e soffriva di panico da palcoscenico. Con il tempo le cose sono cambiate. Oggi è estremamente rilassato e sfrutta al meglio le sue doti drammatiche. “Ricardo è un istrione”, mi ha detto in seguito Oscar Mazù, regista del documentario El problema con los muertos es que son impuntuales, che haper protagonista lo stesso Péculo.
Addio Kirchner
Il 27 ottobre del 2010, quando è morto l’ex presidente argentino Néstor Kirchner, Ri- cardo ha ricevuto una telefonata. Volevano che si occupasse personalmente delle esequie. Dopo aver posto le domande di rito, ha sentenziato: “La bara chiusa non va bene”. E non andava bene nemmeno la veglia alla Casa Rosada. Péculo ha spiegato che bisognava portarlo al parlamento e preparare un posto dove mettere i doni che la gente avrebbe portato. “Altrimenti la bara sarà ricoperta di cose, e sotto quelle cose ci sarà la bandiera”. Secondo Péculo sarebbe stata una mancanza di rispetto per la nazione, ma gli hanno risposto che non era possibile. “Non si preoccupi, Péculo, qui non porteranno niente”. Di fronte a tanti rifiuti, lui ha finito per tirarsi indietro. Il 15 marzo 2013, alla morte del presidente venezuelano Hugo Chavez, il suo successore Nicolàs Maduro ha detto: “Imbalsamiamolo e mettiamolo in una bara di cristallo”. I telefoni di casa Péculo erano tornati a squillare. Volevano Yopinione di un esperto sull’imbalsamazione. Niente di strano, considerando che in precedenza Péculo si era occupato delle esequie dell’ex presidente Arturo Frondizi e del figlio di Carlos Menem, e nel 2006 era passato alla storia per aver trasferito i resti di Iuan Domingo Perón dal cimitero della Chacarita alla villa di San Vicente. Péculo continuerà a dissertare sulle onoranze funebri dei presidenti e parlerà di Raùl Alfonsin, di Kirchner e di Chàvez. Nel frattempo continuerà a lavorare al libro che l’editore Planeta sta preparando su di lui e che sarà pubblicato prossimamente. Quando verrà la sua ora avrà fatto tutto ciò che un uomo deve fare per considerarsi completo: piantare un albero, avere una figlia, scrivere un libro e recitare in un film. A differenza di Ivan ma, il personaggio di Tolstoj, la morte non lo preoccupa, ma non ha nessuna fretta di usare la bara che ha preparato. “Sono in fila”, ripete sempre, come diceva sua madre. “Ma per favore non spingete”.
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