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Il significato del cimitero per l’uomo, nel corso dei secoli, è mutato radicalmente: da un luogo eccellente per onorare e ricordare i propri morti, a un luogo dove, anche grazie alla grande popolarità e diffusione della cremazione, permangono a volte solo le vestigia del passato. Abbiamo chiesto a Francesco Campione, psicologo e tantaologo,che cosa significa oggi davvero un cimitero.
Professor Campione, parliamo del cimitero.
Il cimitero svolge una funzione sociale importantissima nel complesso processo di elaborazione del lutto sia dal punto di vista individuale che collettivo. Ci sono tre tipi di elaborazione del lutto: la via della tomba, la via dell’energia vitale anonima e quella del trascendimento.
Vediamoli uno per uno, iniziamo con la via della tomba.
Nella via della tomba il lutto si supera facendo sì che il caro estinto, la cui morte non potremo mai accettare perché egli è unico e insostituibile, viva dentro di noi, come se non morisse mai nessuno e i morti venissero seppelliti vivi nel nostro animo.
La via dell’energia vitale anonima?
Nella via dell’energia vitale anonima, il lutto si supera “sostituendo” la persona cara che non c’è più. Dato che la vita è un’energia anonima che passa da uno all’altro, è indifferente “chi” si ama, avendo l’amore come scopo il legarsi a qualcuno che (chiunque sia) sia in grado di soddisfare i bisogni vitali.
E in quella del trascendimento cosa avviene?
Nella via del trascendimento il lutto si supera lasciando detto ai cari che restano, che nel loro vivere sia rappresentata la nostra vita, facendo in modo che la voce di chi non c’è più risuoni nella vita di chi resta per dire che ci si è affidati a questi nel morire: perché è più importante che la vita continui e si rinnovi piuttosto che “io” continui a vivere in eterno.
In che modo un luogo come il cimitero interviene in queste modalità diverse?
Nella via della tomba, il cimitero (che di tombe è composto) non è altro che una rappresentazione del nostro animo in cui in realtà seppelliamo i nostri morti. In altri termini, nella via della tomba il cimitero finisce per essere un “luogo dell’anima”, una proiezione all’esterno di qualcosa che si organizza dentro di noi.
Sarebbe a dire?
La funzione dei cimiteri è una funzione dell’immaginario. Il cimitero, e tutto ciò che vi si fa, è una sorta di “teatro dell’anima”: la terra rappresenta l’anima, la fotografia e il nome sulla tomba una sorta di coperchio che non fa “passare” il defunto. L’interiorizzazione del morto lo fa diventare una parte di noi sempre presente nonostante la sua assenza. Ho sentito affermare da una persona: «Al cimitero non ci vado per parlare con i morti, perché io con loro ci convivo, li porto dentro di me e lì sono vivi. Al cimitero vado per pensare a come abbiamo vissuto insieme, per ricordarmi che c’erano, che non è tutta una mia immaginazione il sentirli dentro di me come se non fossero mai andati via».
Vediamo allora il Cimitero nella via dell’energia vitale anonima.
Le persone che elaborano il lutto seguendo questa via spesso disprezzano il cimitero come un residuo arcaico di tempi sorpassati. Per loro, quando qualcuno muore, di lui come persona non resta più nulla. A questa modalità di elaborazione corrispondono spesso scelte di coloro che si fanno cremare perché di loro non resti più niente senza che il corpo debba subire la decomposizione che lo attende dopo la morte. Il cimitero, per chi segue questa via, potrebbe anche non esistere se non per ragioni “igienico sanitarie” di smaltimento di “rifiuti solidi urbani” e di luogo della trasformazione del cadavere perché il morto rientri nel ciclo della vita.
E nella via del trascendimento?
Ci sono tante versioni di questa modalità. Una è quella dell’idealismo crociano, il cui motto è «via dalle tombe!». Bisogna, in altri termini, far sì,in questa ottica, che i morti stiano al loro posto in modo che la vista della tomba non ci convinca che tutto ciò che edifichiamo con il lavoro e con la storia sia inutile. In tal caso il cimitero ha un senso (altrimenti i morti girerebbero tra i vivi!) ma va assolutamente separato dalla città dei vivi. La visita ai defunti del 2 novembre è per molti di loro una sorta di ritualizzazione: soltanto una volta all’anno ci si espone al dubbio che la vita non abbia senso dato che si deve tutti finire al cimitero, poi si torna a casa sollevati, come liberati da quel dubbio. Un’altra versione è quella di chi pensa che morendo si va oltre se stessi, si trascende la propria identità personale e si vive nel ricordo degli altri, in un’altra vita o partecipando all’Infinito. Il cimitero allora può essere un “memoriale” per onorare il ricordo dei morti, un’anticamera dell’aldilà oppure un luogo utopico per pensare alla morte in un modo tanto ambiguo (i morti abitano in un certo posto e quindi sono un po’ vivi) da interrogarsi all’infinito sul suo mistero.
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